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Archeologia: 190 missioni Italia. Unesco indaga su reperti Isis

Esperti a Borsa Mediterranea Paestum, no ad approcci coloniali

02 novembre 2014, 16:52

Redazione ANSA

ANSACheck

Pubblico tra gli stand della Borsa del turismo archeologico di Paestum - RIPRODUZIONE RISERVATA

Pubblico tra gli stand della Borsa del turismo archeologico di Paestum -     RIPRODUZIONE RISERVATA
Pubblico tra gli stand della Borsa del turismo archeologico di Paestum - RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Cristiana Missori)

(ANSAmed) - PAESTUM (SALERNO) - Valorizzare, formare, scambiare conoscenza. La cooperazione archeologica è strumento di diplomazia. Sono 190 attualmente le missioni archeologiche italiane all'estero sostenute dalla Farnesina. L'Italia è presente con i suoi archeologi ed esperti della Cooperazione e contribuisce alla preservazione del patrimonio culturale e artistico di numerosi Paesi: dall'Iran alla Giordania, dalla Tunisia alla Libia, dalla Turchia fino al Pakistan. Mancano però i fondi per portare avanti progetti di scavo, recupero, conservazione, valorizzazione e formazione, e serve un cambio di mentalità.

E' quanto emerso oggi nel corso del seminario dedicato alle missioni archeologiche italiane all'estero, organizzato nell'ambito della seconda giornata della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, giunta alla sua diciassettesima edizione (fino al 2 novembre). Cambiano le condizioni politiche e storiche di molti Paesi, come quelli che nel 2011 hanno conosciuto i venti delle cosiddette Primavere arabe. Cambiano le loro esigenze. Anche per questo, le missioni archeologiche italiane devono cambiare passo, sostengono gli esperti.

''No a una mentalità colonialista'', affermano. Quel che serve è ''una maggiore attenzione alle richieste e alle esigenze avanzate dai singoli Paesi'', come la Libia. ''Le missioni archeologiche - sottolinea Luisa Musso, docente dell'Università di Roma Tre - devono individuare le nuove urgenze''.

Su quali siano le priorità per la "nuova Libia", avverte la ricercatrice, il Dipartimento Archeologico della Libia (Doa) è stato molto chiaro: restauro conservativo più che apertura di nuovi scavi; mappatura del patrimonio esistente, ma anche inventariazione e classificazione, digitalizzazione del patrimonio mobile, condivisine dei dati archivistici e storici, scambi con la polizia internazionale per lottare al traffico illecito di opere. Attualmente, ricorda Musso, le missioni italiane sostenute dal Ministero per gli Affari esteri attive nel Paese maghrebino sono 10.

Da Paestum archeologi ed esperti italiani responsabili di alcune missioni dell'area Med e non soltanto, tirano dunque le somme sullo stato dell'arte del loro lavoro, dicendosi convinti che i tempi sono cambiati. ''L'archeologia fatta dagli italiani - spiega - non riceverà trattamenti speciali. Nulla è da dare per scontato. E i libici ci chiedono proprio questo''.

Dalla Libia alla Tunisia, dove dopo uno stop dovuto alla caduta del regime di Ben Ali la missione italo-tunisina portata avanti dall'Università di Macerata ad Althiburos, nel Nord-Ovest del Paese, è ripresa proprio quest'anno. Anche in questo caso, sottolinea Gilberto Montali dell'ateneo marchigiano, i rapporti riprendono su basi nuove, ''imparando a rispettarci e conoscerci di più''. Da ultimo, un aspetto da non sottovalutare è quello dell'indotto turistico generato dalla valorizzazione del patrimonio locale, come ha voluto ricordare Massimo Riccardo, direttore centrale per la Promozione del sistema Paese del Ministero degli Affari esteri. ''L'Italia sostiene quasi interamente ben 190 missioni archeologiche nel mondo, in aree come il Giappone o gli Stati Uniti. Persone, idee, entusiasmo, competenza acquisite e richieste all'estero dei ricercatori italiani, mentre sono 83 gli Istituti italiani di cultura pronti a valorizzare la cooperazione anche in campo archeologico''.

(ANSAmed).

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