''Vi chiedo di non salire su
quelle macchine. Dovete difendere in primis la vostra vita, la
vostra dignità di uomini pretendendo di lavorare in tutta
sicurezza, ricordandovi che non ci vogliono giorni o mesi, ma
attimi per perdere la vita''. E' l'appello accorato rivolto ai
gruisti del reparto Ima dello stabilimento Ilva di Taranto da
Amedeo Zaccaria, padre di Francesco, il 29enne morto il 28
novembre 2012 dopo essere rimasto intrappolato nella cabina
guida di una gru caduta in mare al passaggio di un tornado.
Giovedì scorso nello stesso reparto dell'area portuale in
concessione al Siderurgico una gru in manutenzione si è spezzata
in due tronconi e due operai, uno dei quali caduto in mare,
hanno riportato contusioni. ''Ho rivissuto i momenti tragici di
quel giorno - osserva Zaccaria - vi assicuro che l'Ilva non
avrebbe dovuto inventarsi nulla per salvaguardare la vita di mio
figlio Francesco, sarebbe bastato osservare tutte le precise e
severe norme che riguardano le macchine sulle quali voi
operate''.
Il papà del lavoratore contesta l'accordo firmato nella
giornata di ieri dai sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm
relativo alle misure di sicurezza. ''Vi chiedono di tornare a
operare sulle gru - precisa - in attesa di fantomatici controlli
da effettuarsi. Lasciate che le chiacchiere siano le loro e la
vita la vostra. Geneticamente sono il papà di Francesco,
moralmente vi sento tutti come miei figli: ho perso un figlio
per colpa di qualcuno e non per tragica fatalità, pertanto -
conclude Amedeo Zaccaria rivolgendosi agli operai - non voglio
perdere altri miei figli''.
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