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Puglia

Colpo mortale a clan Bari, arresti

Mani su edilizia per cemento scadente, in manette imprenditore

Decine di arresti sono stati eseguiti dai Carabinieri a carico di presunti componenti il clan mafioso Di Cosola. Tra gli arrestati un imprenditore edile a cui  è stata sequestrata l'azienda. L'operazione è definita dai militari un "colpo mortale" al clan ai cui beni sono stati apposti i sigilli.
    L'indagine ha ricostruito anni di egemonia in settori vitali dell'economia, primo fra tutti quello dell'edilizia dove veniva registrata l'imposizione mafiosa dell'acquisto del cemento di bassa qualità.

Erano le donne - cinque arrestate, due delle quali finite in carcere - a gestire la cassa della presunta organizzazione mafiosa legata al clan Di Cosola sgominata oggi dai carabinieri nel barese. Era la moglie del boss Antonio Di Cosola (detenuto), Rocca Palladino, di 49 anni, anche lei arrestata, ad impartire al clan gli ordini ricevuti dal carcere dal marito. Sessanta gli arresti eseguiti, una decina gli imprenditori edili costretti dal clan ad usare cemento scadente per le loro attività edilizie.

Anche Di Cosola figura tra i 64 destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla Dda del capoluogo di regione e firmata dal gip del tribunale di Bari. Per 30 delle 60 persone arrestate la detenzione è in carcere, altre 30 sono invece ai domiciliari. Nell'operazione, denominata 'Pilastro', sono stati utilizzati 350 carabinieri, impegnati anche nel sequestro di beni. Ammonta ad esempio a tre milioni di euro il valore del solo cementificio di Valenzano (Bari), 'Murgia Inerti srl', di Vito Nicola Procida, 58 anni, incensurato (anche lui arrestato), mentre è di 10 milioni di euro il valore complessivo dei beni mobili e immobili sequestrati. Una ricchezza che "dimostra quanto sia stata penetrante e lucrosa l'attività sul territorio del gruppo Di Cosola" ha riferito il procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago. Preoccupanti, per gli inquirenti, i segnali di come il clan Di Cosola stesse "allargando gli interessi criminali" a livello locale attraverso le estorsioni, il meccanismo del 'cavallo di ritorno', lo spaccio di sostanze stupefacenti e la gestione delle slot machine. Tutte attività per fare cassa. "E' stata messa in luce - ha spiegato Drago - la saldatura tra una certa imprenditoria e gli interessi criminali". Da quanto emerso fino ad oggi, il cemento di qualità scadente non sarebbe stato impiegato in opere aggiudicate attraverso appalti pubblici, ma nell'ambito dell'edilizia privata, e ora scatterà una serie di accertamenti tecnici per capire quanto, dove e come sia stato impiegato il cemento scadente. "C'è una area grigia che non consente di capire gli imprenditori da che parte stanno" ha commentato il comandante della Legione carabinieri Puglia, gen. Claudio Vincelli, invitando a denunciare le richieste estorsive. "E' stata un'operazione di spessore - ha aggiunto Vincelli - che si inserisce in uno scenario molto più articolato". "Un'indagine durata tre anni - ha chiosato il comandante provinciale di Bari dei carabinieri, col. Rosario Castello - servita a sgominare un clan arrogante nel territorio di Bari e provincia".

Sono alcune intercettazioni, secondo gli inquirenti, a chiarire le modalità estorsive messe a punto dal clan mafioso Di Cosola sul territorio e, in particolare, quelle nei confronti degli imprenditori edili costretti ad acquistare cemento di qualità scadente. E' quanto sarebbe emerso dalle indagini che hanno portato oggi all'arresto di 60 persone da parte dei carabinieri a Bari e provincia. In particolare dalle intercettazioni si evincerebbe che alcuni indagati erano diventati veri e propri 'soci' dell'azienda 'Murgia Inerti srl', in cambio di una provvigione quantificabile in 1-2 euro al metro cubo di cemento piazzato sul mercato. "La presenza del clan Di Cosola nell'edilizia - si legge nell'ordinanza del gip - ha permesso di accertare che, oltre al turbamento del normale andamento del libero mercato (imposizione del calcestruzzo, delle ditte addette agli sbancamenti e della vigilanza nei cantieri stessi), vi fu anche la commercializzazione di un prodotto non corrispondente a quello pattuito in sede di contrattazione, ciò facendo temere anche sulla 'stabilità' dei manufatti eventualmente realizzati attraverso l'utilizzo dello stesso. Al fine di invogliare gli imprenditori, infatti, il clan Di Cosola, privo di qualsivoglia scrupolo, offriva dei prezzi molto competitivi fornendo, però al contempo, un semilavorato di qualità inferiore". Circostanza che emerge in maniera chiara da alcune intercettazioni telefoniche, dalle quali si ricava che la qualità del cemento non corrispondeva a quella pattuita. Infatti "si registrò l'evidente preoccupazione di Procida - si legge ancora nell'ordinanza - rispetto alla richiesta formulata da un imprenditore di una verifica sulla qualità del semilavorato "...quelli devono fare i provini qua sul cantiere..." si ascolta in un dialogo. Così Procida ordinò a un suo dipendente di mettere un po' di cemento in più: "...Quanto hai messo di cemento?.......pronto (..) quindi se puoi mettere altri 20 chili di cemento per metro … almeno sono 180 e metti altri 2 quintali".

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