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Ilva: Tribunale svizzero, no a rientro 1,2 mld

Soldi famiglia Riva erano stati sequestrati da magistrati Milano

(ANSA) - MILANO, 24 NOV - Una brutta notizia per il futuro dell'Ilva di Taranto è arrivata oggi dalla Svizzera. Il
Tribunale federale di Bellinzona, infatti, ha detto no al rientro in Italia di quei 1,2 miliardi di euro che erano stati
sequestrati più di due anni fa alla famiglia Riva in una delle inchieste della Procura di Milano sulla gestione del colosso
siderurgico e che, sulla base di un provvedimento del gip e sulla scorta di una normativa introdotta 'ad hoc' nei mesi
scorsi, dovevano essere destinati agli interventi di risanamento necessari, soprattutto dal punto di vista ambientale.
Lo scorso maggio, infatti, il gip di Milano Fabrizio D'Arcangelo, dopo una prima decisione risalente già all'ottobre
2014, aveva sbloccato il miliardo e 172 milioni di euro 'congelati' nel maggio 2013, nell'ambito dell'inchiesta
coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, ai fratelli Emilio (morto nel
2014) e Adriano Riva e a due loro consulenti accusati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni.
Nel decreto del giudice si applicava, tra l'altro, quanto previsto dalla legge cosiddetta 'Salva Ilva', che prevede un
sofisticato meccanismo tecnico per permettere al colosso siderurgico, ora in amministrazione straordinaria, di utilizzare
quei fondi, sequestrati ai Riva e sbloccati, e destinarli al risanamento e al rilancio dell'azienda, applicando tutte le
prescrizioni del 'Piano Ambientale'. L'ordinanza del giudice era stata inoltrata dalla Procura di
Milano a quella di Zurigo che, a sua volta, aveva dato l'ok al rientro dei soldi in Italia e aveva notificato il provvedimento
alla banca Ubs di Lugano dove le somme sono custodite. A quel punto, l'istituto di credito avrebbe dovuto far rientrare i
fondi oltre confine in modo che venissero impiegati, come prevede la 'Salva Ilva', per la sottoscrizione di obbligazioni
da parte dell'azienda di Taranto.  Due figlie di Emilio Riva, però, nel frattempo hanno
presentato un ricorso in Svizzera per bloccare il provvedimento con il quale la Procura di Zurigo aveva dato il via libera al
rientro dei soldi. Ed ora i giudici di Bellinzona, pur negando formalmente la "legittimazione" delle figlie dell'ex patron dell'Ilva a
ricorrere, hanno deciso di "intervenire d'ufficio", come si legge in un comunicato del Tribunale svizzero, per bloccare la
consegna all'Italia delle somme sequestrate, classificandolo come un 'esproprio', e annullare la decisione della Procura di
Zurigo. E ciò a causa, spiegano i magistrati svizzeri, di "vizi particolarmente gravi". Per il Tribunale elvetico, infatti, in
sostanza, non c'è alcuna "motivazione penale" alla base della richiesta di rientro dei soldi, ossia non c'è alcuna sentenza
definitiva di condanna con conseguente confisca, ma solo un procedimento in fase di indagini.
Per i giudici "la rogatoria italiana è solo apparentemente in materia penale", e in realtà "risulta essere uno strumento teso
a raggiungere altri scopi". I "valori patrimoniali" di cui si chiede la consegna, poi, scrive la magistratura svizzera, sono
"soltanto presumibilmente e non manifestamente di origine criminale", e dall'Italia non sono arrivate garanzie che "le
persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessuno danno". Anzi, se venissero consegnati quei soldi, "a
causa della costellazione giuridica in Italia", verrebbero "subito convertiti" in obbligazioni "di una società in
fallimento", in titoli "presumibilmente senza valore". E ciò "costituirebbe un'espropriazione senza un giudizio
penale". Ora solo la Procura di Zurigio, entro dieci giorni, potrà impugnare la decisione del Tribunale. Nel frattempo, i
quasi 1,2 miliardi restano sotto sequestro sui conti a Lugano. (ANSA).

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