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"Il mio bambino nelle foto dell'Isis", la denuncia della madre di Ismail

"Mai sospettato che mio marito potesse essere un fanatico"

I carabinieri dei Ros di Padova stanno indagando sull'autenticità di alcune fotografie che ritraggono un bimbo con fascetta nera dell'Isis sulla fronte assieme a miliziani jiahidisti. Il piccolo, secondo una donna cubana residente nel bellunese sarebbe suo figlio Ismail rapito a tre anni, nel novembre del 2013, dal padre Ismar Mesinovic arruolatosi tra le truppe integraliste in Siria. L'uomo che faceva l'imbianchino a Belluno, sarebbe morto in combattimento ma il piccolo, come hanno ribadito con alcuni sms inviati alla madre da parenti bosniaci di Mesinovic starebbe bene. In una delle fotografie, pubblicate in rete da un sito jiahidista di propaganda, il piccolo, che tiene per mano un uomo, porta a tracolla un piccolo mitra. In un'altra è ritratto a cavallo di una moto, vestito da miliziano, con un combattente islamico. Come indicano alcuni quotidiani non c'è la certezza che il bambino sia Ismail, cosa di cui si dice certa la mamma, ma gli stessi investigatori sottolineano che ci sono molti punti di somiglianza tra le immagini su internet e le fotografia scattate a casa prima del rapimento.

"A me sembra proprio lui. Il cuore di una mamma non può sbagliare". Così Linda Solano Herrera, la mamma di Ismail Mesinovic, il bimbo rapito dal padre e portato in Siria, in un colloquio con il Corriere della Sera e in un'intervista a Repubblica, torna sulle fotografie diffuse dai fiancheggiatori dell'Isis - e mostrate giovedì da AnnoUno su La7 - che mostrano un bimbo al fianco dei miliziani che potrebbero essere Ismail.

Nella prima immagine il bimbo appare per mano a quello che sembra essere un combattente, nella seconda, con indosso una felpa nera e la fascia dei combattenti Isis, è in sella a una moto guidata da quello che secondo gli investigatori è Said Colic, bosniaco veterano della guerriglia siriana.

"Spero che torni qui accanto a me. Ho consumato le fotografie e i miei occhi a forza di guardarle. Penso sempre a lui, solo a lui", dice la donna al Corriere della Sera. Spiega perché consentì al marito bosniaco, da cui si era separata, di portare il bimbo dai parenti: "mi sembrava giusto, per il bene del bimbo e poi perché era giusto che lo vedesse anche la famiglia di lui. Ho lasciato che andasse anche quella volta perché non c'era motivo di credere che me l'avrebbe portato via". E alla domanda se avesse mai sospettato che il marito Ismar potesse diventare un combattente dell'Isis risponde: "non ho mai avuto nemmeno lontanamente il sospetto che Ismar fosse in qualche modo attratto dalla stessa causa dei fondamentalisti. Figuriamoci pensare che un giorno avrebbe coinvolto Ismail in tutto questo..". "Avevo notato", dice la donna a Repubblica, che Ismar "andava al centro islamico di preghiera, ma giusto un paio di volte la settimana. Non era strano. E il furgone su cui è partito, era quello che usava per lavoro. Mi parlava della religione, però non in termini fanatici".

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