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Riforme: scatta la 'tagliola' e le minoranze salgono al Quirinale

Renzi non molla, riforme piaccia o no; richieste delle opposizioni

La maggioranza ottiene il contingentamento dei tempi sulle riforme in Senato, dopo la preoccupazione espressa mercoledì sera dal Presidente Napolitano al presidente del Senato Grasso. Le riforme saranno dunque votate entro l'8 agosto e le opposizioni insorgono e decidono una azione eclatante salendo insieme al Quirinale per protestare con il Capo dello Stato. La minoranza M5s, Lega e Sel esprime con questo atto tutti i suoi mal di pancia anti-riforme targate Renzi inaugurando una nuova strategia, passando da un'ostruzionismo rigido in Aula ad un confronto sul merito, che lambisce anche la piazza e chiama in causa direttamente il Colle per "strappare" le modifiche al governo. Il quale però non intende recedere dal suo "principio non negoziabile" e cioè un Senato che rappresenti le Regioni e non sia più un organismo politico eletto dai cittadini.

Un concetto sintetizzato oggi prima dal ministro Maria Elena Boschi (nessun stravolgimento, comunque niente alibi e ci sarà il referendum) e poi, con durezza, dal presidente del Consiglio che conferma la ferrea volontà di "non mollare" e di andare fino in fondo contro qualsiasi ostruzionismo, politico e non. "In Italia c'è un gruppo di persone che dice no da sempre, e noi senza urlare diciamo "sì". "Piaccia o non piaccia le riforme le faremo!".

La preoccupazione di Napolitano, espressa mercoledì a Grasso, per il blocco delle riforme a causa dell'ostruzionismo, ha avuto come effetto la richiesta, stamane, da parte del capogruppo del Pd Luigi Zanda di una conferenza dei capigruppo, dove gli oltranzisti delle riforme hanno chiesto il contingentamento dei tempi. "La democrazia tutela i diritti delle minoranze ma anche quelli della maggioranza", ha osservato Maurizio Sacconi. I partiti che osteggiano le riforme si sono riuniti, dietro l'iniziativa di Loredana De Petris (SEL), che con i suoi 5.900 emendamenti si è guadagnato la leadership degli oppositori, imponendo a tutti l'ostruzionismo, anche a M5s o ai dissidenti del Pd, che avevano presentato pochi emendamenti puntando piuttosto su qualche "scivolone" della maggioranza su qualche emendamento insidioso. Anche la Lega, con pochi emendamenti, puntava a ottenere modifiche definite.

Dalla riunione delle minoranze è uscita una lettera con l'indicazione di alcuni punti su cui aprire il confronto: immunità, norme sul referendum, mantenimento di un Senato politico eletto dai cittadini. La lettera è stata consegnata al ministro Maria Elena Boschi la quale aveva detto che il governo "è disponibile ad approfondire" alcuni temi, ma non dietro al "ricatto" di 8.000 emendamenti: e ne ha chiesto una "sostanziosa" riduzione. Cosa che non c'è stata e che ha avuto come risposta il contingentamento dei tempi, che porterà al voto finale l'8 agosto. In aula De Petris, e i capigruppo di Lega, Gian Marco Centinaio, e di M5s, Rosario Petrocelli, hanno avuto parole di fuoco ma non hanno opposto resistenza. Quando tre giorni fa fu deciso un calendario che imponeva sedute no stop 9-24, sette giorni su sette, i senatori delle minoranze avevano proposto ciascuno un calendario alternativo, e tutti erano stati votati. Oggi (giovedì, ndr) non è avvenuto nulla del genere. Dopo le parole tonanti è seguita una marcia teatrale al Quirinale.

La speranza della maggioranza, e l'auspicio espresso in aula dal correlatore Roberto Calderoli, è che le minoranze tolgano dal tavolo le proposte di modifica ostruzionistiche e si confrontino sul merito di quelle quattro-cinque questioni aperte. Un appello in tal senso è stato rivolto dai dissidenti del Pd, Vannino Chiti e Paolo Corsini. Su diversi punti indicati dalla lettera delle minoranze, governo e maggioranza sono disponibili a trattare. Ed è su quelli che si tenterà di scardinare il muro contro muro da qui a martedì, quando riprenderà il voto sulle riforme (nel frattempo il Senato deve approvare due decreti). Sulla trasformazione del Senato da seconda Camera politica e Camera delle Regioni, come negli altri stati federali o a forte regionalismo, Renzi non cede: "Se la politica non dimostra di saper riformare se stessa - ha detto parlando con alcuni ministri - come possiamo chiedere di farlo a prefetti, magistrati o alti dirigenti pubblici?".

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