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PD, nasce la segreteria 'plurale'. Renzi, "ma poi decido io"

Minoranza entra ma divisioni sul lavoro. Verso 'rimpastino' dei gruppi

Matteo Renzi 'resetta' la segreteria del Partito democratico. E in nome del 41% alle europee, apre la stagione di una gestione del Nazareno "unitaria" o, come preferisce definirla la minoranza, "plurale". Fermo restando, puntualizza subito il segretario-premier, che "il compito di decidere" spetta a lui. Novità ci saranno anche nei gruppi parlamentari dem e nel governo, vista la necessità di sostituire due sottesegretari. Ma nel giorno della presentazione alle Camere dei 'Mille giorni', Renzi torna a subire il fuoco amico degli esponenti della sinistra dem sui temi del lavoro e della legge di stabilità.

Su quei temi, come chiesto dalla minoranza, accetta di convocare un dibattito in direzione tra due settimane ma chiede fin da subito uno sforzo per "sciogliere i nodi". Anche questa volta, dopo mesi di discussioni con le componenti della minoranza del partito, le caselle della segreteria vengono completate solo negli ultimi minuti, a ridosso della direzione convocata per l'annuncio. E' il "metodo-Renzi", che i dem hanno imparato a conoscere. Complice l'intensa giornata parlamentare del premier, la trattativa prosegue fino all'ultimo. Non solo sui nomi ma anche sulla convocazione, chiesta dalla minoranza come condizione per l'ingresso nella squadra 'di governo' del Nazareno, di un dibattito su Jobs act e legge di stabilità. Alle 19.30, con un'ora di ritardo sul previsto, il segretario legge i nomi: 8 donne e 7 uomini, alcuni neanche avvertiti della scelta ("Lo scopriranno ora", dice il segretario).

Si riuniranno per la prima volta giovedì mattina, "ai soliti orari antelucani", con sveglia all'alba. Gianni Cuperlo, nel fare ingresso al Nazareno, torna a chiedere che si definisca la nuova segreteria "plurale", non "unitaria". Una correzione lessicale che Renzi concede. Il cambio di rotta rispetto al 'monocolore' dei primi mesi si spiega così: "Il 41% delle europee impone di non fare da soli" quel 41% che può "cambiare idea con la stessa velocità con cui fa zapping davanti alla tv". Giovedì il segretario, "se tutti accetteranno l'incarico", assegnerà le deleghe. Due le conferme, Filippo Taddei all'Economia e Chiara Braga all'Ambiente.

Da Area riformista arrivano Enzo Amendola, cui andranno probabilmente gli Esteri e Micaela Campana, al welfare e diritti. Il cuperliano Andrea De Maria dovrebbe avere la responsabilità della formazione politica. Valentina Paris, espressione dei Giovani turchi, prenderà probabilmente il posto di Stefano Bonaccini agli Enti locali. E ancora: Emanuele Fiano alle Riforme, Giorgio Tonini a Cultura e università, Davide Ermini alla Giustizia, Ernesto Carbone, alla Difesa; la fioroniana Stefania Covello di Sud e fondi europei, Alessia Rotta alla comunicazione, Lorenza Bonaccorsi a innovazione e Pa, Sabrina Capozzolo all'agroalimentare e Francesca Puglisi alla scuola. Confermati i vicesegretari Guerini e Serracchiani, soprannominati dai colleghi, svela Renzi, "Albano e Romina".

Lasciano il Nazareno Francesco Nicodemo, che dovrebbe avere un incarico sulla comunicazione a Palazzo Chigi, e Pina Picierno, approdata all'europarlamento. Ma anche Alessia Morani, che dovrebbe diventare una delle vicepresidenti del gruppo alla Camera, nell'ambito di una riorganizzazione che prevederà novità anche al Senato. Davide Faraone riceverà probabilmente l'incarico alla Scuola lasciato da Roberto Reggi, uno dei due sottosegretari, insieme a Giovanni Legnini, nominato al Csm. Che la segreteria "plurale", dalla quale si tengono distanti i civatiani, assicuri a Renzi "pax" interna non è scontato.

Lo mettono in chiaro in giornata le dichiarazioni di chi, come Stefano Fassina, pochi secondi dopo aver ascoltato Renzi in Aula alla Camera, scrive un tweet durissimo sul tema del lavoro: "Renzi dice no a un diritto del lavoro di serie A e B. Propone tutte lavoratrici e lavoratori in serie C". Di Jobs act, così come di legge di stabilità, promette Renzi, si parlerà in una direzione che dovrebbe tenersi il 29 settembre. Ma il "metodo di lavoro", assicurano i renziani, resta quello usato sulle riforme: si discute, poi si fa il volere della maggioranza.

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