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Sul Jobs Act è rebus al Senato: è incognita per 30 del PD

Sul Jobs Act è rebus al Senato: è incognita per 30 del PD

Maggioranza a 161 a Senato,minoranza dem decisiva;57 senatori Fi

ROMA, 02 ottobre 2014, 10:56

Giovanni Innamorati

ANSACheck

Nonostante la solida maggioranza ottenuta lunedì alla Direzione del Pd, con l'80% di sì al Jobs Act, Matteo Renzi non può ancora dormire sonni tranquilli per quello che riguarda i numeri del Senato, dove dalla prossima settimana si entrerà nel vivo delle votazioni della delega. Il gruppo del Pd a Palazzo Madama, infatti, non riflette i rapporti delle primarie dell'8 dicembre 2013, bensì il periodo in cui il segretario era Pierluigi Bersani. Di qui l'incarico dato a Lorenzo Guerini di tenere un filo diretto specialmente con l'area dei "bersaniani" vicini a Roberto Speranza e Guglielmo Epifani, che potrebbero catalizzare parte dell'ala dalemiana.
    L'obiettivo infatti è far sì che l'eventuale "soccorso azzurro" di Fi non risulti determinante per l'approvazione.

    Gli inquilini di Palazzo Madama sono 320, vale a dire i 315 senatori eletti, e i cinque a vita (Ciampi, Monti, Renzo Piano, Elena Cattaneo e Carlo Rubbia). Negli ultimi tempi Ciampi non ha, per ragioni di salute, partecipato ai voti di fiducia, ma sugli altri quattro Renzi può contare. Nelle ultime quattro votazioni sulla fiducia, prima della pausa estiva, il governo ha ottenuto tra i 155 e i 162 voti. Sulla carta la maggioranza numerica si ottiene con 161 Sì. Va detto però che i senatori a vita in genere non hanno partecipato alle votazioni ordinarie, come possono essere quelle sugli emendamenti alla delega lavoro.

    I gruppi di opposizione messi insieme possono giungere a 145 voti: infatti Fi ha 57 senatori (in attesa dei due che subentrano a Casellati e Zanettin, ora al Csm), Gal 12, la Lega 15, M5s 40, il gruppo Misto che raccoglie Sel ed ex M5s ne ha 21 (escludendo Ciampi e Piano). Invece la maggioranza facendo il pieno mette assieme teoricamente 167 senatori: i 108 del Pd (il presidente Pietro Grasso non vota), i 32 di Ncd, 7 di Sc, 10 di Per l'Italia e 10 delle Autonomie. Certamente problemi potrebbero arrivare da due senatori di Pi, Mario Mauro e Tito Di Maggio, ultimamente assai critici, ma la vera incognita sono le minoranze del Pd.
    La maggioranza interna si è oggi molto rafforzata rispetto all'esito delle primarie. Ai 40 senatori che hanno sostenuto Renzi alle primarie (13 "renziani" più AreaDem di Franceschini), si aggiungono i 14 "giovani turchi" guidati in Senato da Francesco Verducci. C'è poi una ampia schiera di "non schierati" alle primarie che sono ora nella maggioranza.

    Dei 38 firmatari dei 7 emendamenti già una ritirerà la firma, e cioè Magda Zanoni, dei "giovani turchi". Degli altri i più lontani sono i cinque "civatiani" (Casson, Lo Giudice, Mineo, Ricchiuti e Tocci) e due "bindiani (Paolo Corsini e Nerina Dirindin). Rimangono dunque circa una trentina di senatori "bersanini". In queste ore si stanno schierando tra i duri e i trattativisti, più vicini alle posizioni di Roberto Speranza e Guglielmo Epifani che ieri si sono astenuti, sottolineando le aperture di Renzi. Il rinvio del voto oggi alla riunione del Gruppo, servirà al capogruppo Luigi Zanda, di traghettare un maggior numero di senatori nell'area del sì al Jobs Act.
   

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