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Papi, re, presidenti, da 5 secoli il Colle palazzo del potere

La "casa dei preti" che non piaceva al re, poi simbolo Repubblica

Il palazzo simbolo della Repubblica è stato per secoli una residenza dei papi e per oltre settant'anni la casa dei re. Il Quirinale ha cambiato più volte pelle, ma è sempre restato il cuore del potere romano: guardie svizzere o corazzieri, cardinali o ministri repubblicani, da più di cinquecento anni i suoi frequentatori sono gli attori e i comprimari dello stesso grande gioco, che ha come posta la salute dello Stato. 

Nella seconda metà del '500 il Quirinale era un ameno luogo di campagna, dove sorgevano ville e giardini di nobili e prelati. Sulla cima del colle c'era una vasta vigna, alla quale era annessa un piccolo edificio. Il ricchissimo cardinale Ippolito d'Este, figlio di Lucrezia Borgia, se ne era innamorato e ne aveva tratto un bellissimo giardino (i giardini erano la sua mania, come testimonia quello da lui fatto realizzare a Villa d'Este a Tivoli). Il primo papa a mettere gli occhi sulla proprietà fu Gregorio XIII: a sue spese fece trasformare la palazzina che sorgeva nella tenuta in una grande villa il cui pezzo forte era la spettacolare scala elicoidale progettata dall'architetto Ottaviano Mascarino. Nel 1587 il successore di papa Gregorio, Sisto V, decise di comprare villa e giardino e ne fece la residenza estiva della corte pontificia.

Per quasi trecento anni i papi utilizzarono il Quirinale come loro abitazione: inizialmente solo nei mesi estivi, per fuggire dalla calura e dalle zanzare che infestavano la zona del Vaticano, poi per periodi sempre più lunghi. Di ampliamento in ampliamento (il Quirinale così come lo conosciamo è frutto dell'intervento di famosi architetti come Domenico Fontana e Carlo Maderno) il palazzo divenne il cuore del potere della Chiesa, una vera e propria cittadella del papa e della corte.

Nell'800, la rivoluzione. Per tre volte i papi furono sfrattati dal palazzo: da Napoleone nel 1809, da Mazzini nel 1848, da Vittorio Emanuele II nel 1870, quando Pio IX dovette lasciare la sua residenza e riparare in Vaticano. Non prima, secondo la leggenda, di aver lanciato una terribile maledizione sul re usurpatore. Dopo l'addio del "papa re", il consiglio dei ministri del regno d'Italia stabilì che il Quirinale dovesse "appartenere allo Stato ed essere destinato alla residenza del re". In realtà l'idea non piaceva troppo a Vittorio Emanuele II: fosse stato per lui non sarebbe mai andato a vivere in quella che in piemontese chiamava "la cà d'preive" , la casa dei preti. Ma alla fine anche sua maestà convenne che i Savoia dovevano occupare la stessa reggia dei papi. Per sfuggire alla maledizione del Quirinale, gli rimanevano la grande tenuta sulla Salaria (Villa Savoia, oggi villa Ada) e la villa sulla Nomentana comprata per la sua ex amante Rosina Vercellana, sposata da qualche anno prima senza però passarle il titolo di regina. L'8 novembre del 1870 furono rimossi i sigilli dal portone principale e sulla torre del palazzo viene issata il tricolore con lo stemma sabaudo. Dopo qualche mese di lavori, il 23 gennaio del 1871 la famiglia reale fece ingresso nel palazzo. Per risistemarlo e trasformarlo, il Regno italiano non badò a spese: nove milioni per i primi interventi, un milione e seicentomila solo per l'appartamento del re. Ma fu solo con l'arrivo al trono di Umberto, figlio di Vittorio Emanuele, che il Quirinale diventò una vera reggia. Grazie soprattutto alla regina Margherita, i salotti dell'ex residenza di papi si riempiono di aristocratici, scrittori (il giovane D'Annunzio era di casa), banchieri, alti funzionari dello Stato.

Durante la Prima guerra mondiale, il Quirinale conobbe una temporanea mutazione: da sontuosa reggia si trasformò in ospedale militare. Sulla torretta sventolava la bandiera della croce rosse e nei saloni, riadattati a corsie (i pavimenti erano stati coperti da lastre di linoleum e i muri con carta bianca lucida) furono ospitati i mutilati che arrivano dalle trincee.

Con l'avvento al potere di Mussolini, il Quirinale perse parte della sua centralità politica. Dopo l'armistizio dell'8 settembre conobbe nuove tribolazioni. Lasciato in fretta e furia da Vittorio Emanuele III e famiglia, in fuga verso Brindisi, il palazzo fu presidiato per qualche mese da un anziano impiegato della casa reale, l'ottantenne Vittorio De Santis, che sprangò i portoni e nascose i tesori più preziosi. Le truppe tedesche riuscirono a entrare ma si limitano a portare via un camion con 2.479 bottiglie di vino.

Il palazzo accolse nuovamente i Savoia due giorni dopo l'ingresso degli alleati a Roma: il 6 giugno 1944 rientrò nella capitale il figlio del re, Umberto, con il titolo di luogotenente del regno. Nei due anni che seguirono, il Quirinale tornò a essere parte del gioco politico, ma il potere si stava trasferendo altrove. Diventato re il 9 maggio del 1946, Umberto II abbandonò il Quirinale e l'Italia poche settimane più tardi, il 13 giugno, dopo la vittoria della Repubblica nel referendum: il "re di maggio" avrebbe voluto contestare la regolarità del voto, ma il generale americano Stanley Lush gli fece sapere che gli alleati non sarebbero intervenuti se i repubblicani avessero preso d'assalto il Quirinale. Ma per fare del palazzo sul colle più alto di Roma il simbolo della Repubblica, fu necessario aspettare ancora due anni, perché dal 1946 al 1948 il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, non volle salire al Quirinale per esercitare il suo mandato: a lui monarchico convinto, sarebbe sembrato di profanare un simbolo. Fu Luigi Einaudi, nel 1948, il primo presidente ad insediarsi al Quirinale: con la moglie Ida ne fece non solo il cuore dell'amministrazione della presidenza ma anche la sua residenza privata. Il trono dei Savoia fu portato in cantina e la Repubblica fece definitivamente suo il vecchio palazzo dei papi e dei re.

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