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Renzi: non sono autoritario, chi non decide vuole palude

Il premier alla Luiss School of Government

Una democrazia "decidente". Dove non prevalgono i "veti" dei partiti, dove non comandano più gli "azzeccagarbugli". Dove chi governa si assume la responsabilità di decidere e non si limita a "vivacchiare, consegnando il Paese alla palude". E' questo il disegno di Matteo Renzi, questa la sua idea di governo e la risposta a chi lo accusa di voler imporre una "deriva autoritaria". Non si può accusare di voler assumere su di sé tutto il potere, sottolinea, un presidente del Consiglio che "non può revocare un ministro, un suo collaboratore". E nel giorno in cui viene reso pubblico il decreto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che gli affida l'interim al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, torna a invocare il primato della politica: la sua indipendenza dalla magistratura e la sua "centralità" rispetto al potere dei tecnici. A metà mattina il premier viene ricevuto al Quirinale da Sergio Mattarella, per un colloquio di circa di un'ora. L'incontro era programmato dopo le dimissioni di Maurizio Lupi, un passo indietro - sottolinea Renzi - dettato da "un principio etico-morale", dal momento che il ministro non era neanche indagato.

Il presidente del Consiglio assume interim breve, che durerà probabilmente circa due settimane: quanto basta per fare un punto dell'agenda delle cose da fare nel ministero. Ma fin d'ora gli alleati di governo premono perché la sostituzione di Lupi sia un'occasione per riequilibrare i rapporti nell'esecutivo. Il partito di Angelino Alfano preme perché Ncd mantenga lo stesso peso e "non sia penalizzata". E c'è anche chi, come Nunzia De Girolamo, avverte: "Renzi ci ascolti o valuteremo l'appoggio esterno". Ma torna a farsi sentire anche Scelta civica, che si sente "sottorappresentata" e con il deputato Mariano Rubino arriva a minacciare di uscire dalla maggioranza se diventerà un "bicolore" Ncd-Pd. Renzi non risponde direttamente agli alleati di governo, né cita la minoranza Pd, che ha alzato i toni dello scontro interno. Ma nel pomeriggio coglie l'occasione di una affollata lezione alla School of government della Luiss, per ribadire la sua idea di governo. "Vorrei togliermi un sassolino - esordisce - Deriva autoritaria delle riforme è il nome che taluni commentatori e professori un po' stanchi danno alla loro pigrizia". In questi mesi è sentito accusare di voler instaurare una "democratura". E invece, di fronte a un Paese bloccato da una "vetocrazia" da "azzeccagarbugli", il premier rivendica che il potere di decidere, che deriva dal voto dei cittadini e "deve essere sottoposto a controlli", è anche "responsabilità di decidere".

E un governo che "passa il tempo a vivacchiare" senza fare le riforme, "tradisce la fiducia del Parlamento". Avanti con le riforme, dunque. A partire dalla scuola ("Può portarci a essere superpotenza mondiale") e dall'intervento, "straordinariamente importante", sul mercato del lavoro. "Non accetto - afferma Renzi - che ci sia chi si definisce di sinistra perché difende l'articolo 18, come se chi ha voluto cambiarlo non sia di sinistra". Dopo essere intervenuti sulla "flessibilità", dice il leader Pd, è l'ora di "spostarsi sulla creazione di un nuovo welfare in grado di garantire tutti" e che non sia più come "una rete da circo bucata". Quanto alle riforme istituzionali, la legge elettorale che permette di superare "il devastante potere di veto" dei partitini, scommette Renzi, "tra cinque anni ce la copierà mezza Europa". Infine, il delicato tema della corruzione. Renzi rivendica quanto si sta facendo a livello legislativo ("su le pene, prescrizione più lunga") e invoca un cambiamento culturale. E dice anche no a un sistema in cui "chi comanda nel ministero è il tecnico perché spesso ha le informazioni chiuse nel cassetto". Ma rivendica l'indipendenza dalla magistratura: "Quando dico che un sottosegretario indagato non si deve dimettere, e perdo voti per questo, sto difendendo il principio di Montesquieu per cui non ci può essere nesso tra avviso di garanzia e dimissione", altrimenti "i magistrati decidono sull'esecutivo".

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