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Shalabayeva, falsi lasciapassare con le foto fornite da funzionari di polizia

Gli attuali capo dello Sco Renato Cortese e il questore di Rimini Maurizio Improta avrebbero omesso di attestare che la donna si identificava come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov

Sequestro di persona: è l'accusa che i pm di Perugia contestano al capo dello Sco Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, ad altri 5 poliziotti e al giudice di pace Stefania Lavore per il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall'Italia. Agli indagati sarebbe stata notificata un'informazione di garanzia. Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della squadra mobile di Roma e il capo dell'ufficio stranieri della questura della Capitale.

Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina - competente ad indagare in quanto è coinvolto un giudice del distretto di Roma - compaiono poi Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all'epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l'ufficio immigrazione.
   
Renato Cortese, Maurizio Improta e altri due dei poliziotti indagati per la vicenda Shalabayeva, avrebbero omesso di attestare che la donna si identificava come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov pur conoscendone le sue generalità. Per questo sono accusati, oltre che di sequestro di persona, anche di omissione di atti d'ufficio e falso. In particolare, secondo l'accusa, Francesco Stampacchia, all'epoca dei fatti commissario capo della Squadra Mobile di Roma, avrebbe consegnato a Maurizio Improta, capo dell'Ufficio Stranieri della questura della capitale ed oggi questore di Rimini, un Cd con le fotografie di Alma ed Alua riprodotte dal passaporto, che si trovava materialmente presso gli uffici della Mobile perchè sequestrato. Dal canto suo Improta - la mattina del 30 maggio e, sempre secondo l'accusa, prima dell'udienza di convalida del trattenimento presso il Cie - avrebbe consegnato le foto a Nurlan Khassen, consigliere dell'ambasciata del Kazakistan. Questi avrebbe quindi utilizzato le foto per formare i falsi "documenti di ritorno" - i cosiddetti lasciapassare, appunto - non prima, però, di aver ritoccato la fotografia di Alua in modo da non far apparire i segni del timbro che si vedevano sulla stessa foto apposta nel passaporto centrafricano. I lasciapassare sono stati così consegnati ad Improta e portati a Ciampino per consentire l'imbarco della Shalabayeva e della figlia sul volo, pagato dall'ambasciata kazaza, che le ha condotte ad Astana.

La donna e la figlia, ha affermato la Cassazione in una sentenza del luglio del 2014, non dovevano essere espulse dall'Italia e il provvedimento di rimpatrio era viziato da "manifesta illegittimità originaria".

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