(di Elisabetta Stefanelli)
ROBERTO MANIA, CAPITALISTI
SILENZIOSI. LA RIVINCITA DELLE IMPRESE FAMILIARI (Egea, pag.
135, euro 18,00)
"Cercavamo l'America, abbiamo trovato l'Italia, quella delle
medie e anche grandi imprese perlopiù familiari; non le
grandissime aziende e tanto meno le public company. In silenzio,
lontano dai riflettori, senza più le scorribande di un tempo dei
'capitani di sventura', il capitalismo italiano ha scelto - o
accettato - il suo modello". Questo modello, di cui non si trova
traccia tra gli ospiti dei talk show, lo racconta efficacemente
Roberto Mania in 'Capitalisti silenziosi. La rivincita delle
imprese familiari'.
Mania, inviato de La Repubblica, collaboratore de Il Mulino,
spiega dati alla mano che "oltre l'80 per cento delle imprese
italiane è a controllo familiare". Ma, sottolinea l'autore, non
si tratta di nuovi poteri forti, non è il vecchio capitalismo di
casa nostra, e nemmeno una questione di dimensioni perché si va
dalle imprese piccole a quelle grandissime. "Il forte legame con
il territorio è un'altra caratteristica" di questo scenario. Si
chiamano Vacchi, Bombassei, Fumagalli, Bauli, Rana, Marcegaglia
per esempio, e non più Agnelli, Pirelli, Berlusconi, Benetton,
Ferruzzi. Qui a vincere è il patto di famiglia ma anche la
preparazione, lo studio, le lingue, il legame che dal territorio
viaggia verso l'Europa e il mondo. "Il capitalismo italiano è
cambiato - spiega Mania - mentre la politica cerca ancora una
via d'uscita dal tunnel in cui è entrata dopo la fine della
prima Repubblica, rendendo pericolosamente più fragile la nostra
democrazia rappresentativa. Bisognerebbe uscirne insieme,
politica e società civile".
L'anima e il tessuto di questo rinnovamento, sostiene ancora
Mania, potrebbero essere questi imprenditori naturalmente
distanti dalla politica. Lo spiega bene nei cinque capitoli di
questo libro concreto ma anche colto, perché questo saggio è
insieme un'analisi economica che arriva a fondo nella struttura
sociale e politica del paese, nelle sue siderali distanze tra
arretratezza e sviluppo, da tutti i punti di vista. Sono queste
imprese infatti l'avanguardia che traina l'economia italiana,
sarebbe utile che trainassero anche il suo sviluppo
socio-culturale. "La democrazia italiana per risistemarsi
necessita del contributo di tutti, e forse soprattutto di chi,
neoborghese, può esprimere una visione di medio lungo periodo.
La voce di queste imprese - non mediate dalle associazioni di
rappresentanza - sarebbe assai utile. Molto di più di quanto si
immagini", sottolinea.
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