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Conte: do tutto perchè Dio mi dà tanto

Conte: do tutto perchè Dio mi dà tanto

Il ct azzurro racconta la sua fede al settimanale 'Credere'

ROMA, 26 novembre 2014, 15:34

Redazione ANSA

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Allenatore di lotta e di preghiera. Antonio Conte come non si e' mai visto e sentito. Il combattivo tecnico azzurro, che si agita in panchina come un forsennato, che perde la voce dopo ogni partita, e sprona i suoi fino all'ultimo minuto di gioco, per la prima volta parla in pubblico della sua fede cattolica. Al settimanale 'Credere' confida la sua gratitudine a Dio "perchè mi ha dato tanto" e si augura di "fare qualcosa che giustifichi tutto il bene ricevuto", perciò "dò tutto". Conte sa di essere un uomo di successo e un privilegiato, ha vinto tanto da giocatore, continua a farlo da allenatore, da pochi mesi guida la Nazionale, guadagna molto. Ma resta con i piedi per terra, "non dimentico che vengo da una famiglia umile", e aggiunge "non invoco mai il Signore, lo ringrazio sempre, ogni sera, prima di andare a dormire. Prego la Madonna e tutti i santi, anche prima dei pasti faccio il segno della croce per ringraziare di quel che ho". Sulla panchina della Nazionale altre volte ci sono stati uomini di fede.

Di Giovanni Trapattoni si ricordano la devozione per la sorella suora e l'acqua benedetta che si portava in panchina. Cesare Prandelli che disse 'sempre con il Papa'. E Roberto Donadoni 'prego eccome, ma le partite si vincono in campo senza scomodare aiuti dall'Alto'. Dovesse allenare la Nazionale della Chiesa, Conte metterebbe Papa Francesco "davanti alla difesa, dove sta il cuore della squadra. È il ruolo di chi si deve sacrificare per la squadra". Poi torna serio: "La fede aiuta a distinguere il bene e il male, a scegliere la via giusta nei momenti di difficoltà, dice. Sono cresciuto a Lecce, l'oratorio Sant'Antonio a Fulgenzio è stato un riferimento, un rifugio dalle tentazioni della strada. I miei genitori mi hanno trasmesso un'educazione cattolica, io faccio lo stesso con mia figlia Vittoria". La sua parabola preferita è quella del figliol prodigo, "mi piace perché insegna a perdonare" ed ha anche a che fare col suo mestiere, "il perdono fa parte del compito dell'allenatore, altrimenti su 25 calciatori ne salveresti 10. Prima di perdonare però penso si debba far capire gli errori: ci deve essere redenzione da parte di chi ha sbagliato". Da piccolo Conte faceva il chierichetto, e già era competitivo. "Quando servivamo Messa e il parroco doveva decidere chi avrebbe portato la candela grossa, ricordo che volevo essere scelto. Quando accadeva ero felice, mi cambiava la giornata! Mi piaceva fare il saluto al prete e orchestrare i movimenti degli altri chierichetti". Se non fosse un uomo di calcio, che cosa sarebbe oggi Conte ? "un prof di educazione fisica, vengo da una famiglia di sportivi e mi piace educare"
   

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